giovedì 26 dicembre 2013

REY MIRAMOLINO Y LA PRINCESA NEVARA/ RE MIRAMOLINO E LA PRINCIPESSA NEVARA

Scaturita dal secondo periodo del legame tra siciliani e arabi, la leggenda del re arabo Miramolino e dei suggerimenti di sua figlia Nevara, spiega, con grande semplicità, il nuovo rapporto di reciproca tolleranza religiosa e civile, che si avviò tra i fedeli delle due confessioni in Sicilia, e dei grandi frutti che se ne ottennero soprattutto a livello culturale.
Quando gli arabi conquistarono la Sicilia, i siciliani non erano molti, ma poco inclini ad osannare i nuovi conquistatori. L'ostilità tra le due fazioni, i conquistati e i conquistatori, era tale che il re arabo Miramolino doveva trovare una soluzione. La principessa Nevara, che non mancava mai di consigliare il padre, gli disse di non usare la forza, in quanto si prendono più api con un ramoscello fiorito che con una grossa botte di aceto. La buona principessa non amava la violenza, ed in più s'era innamorata di un nobile siciliano e quindi si operava per avvicinare gli uni agli altri superando ogni asperità con la saggezza. Miramolino permise ai siciliani di continuare a lavorare la terra e di commerciare per mare e per terra. Tuttavia, per sottolineare chi aveva il potere, ordinò che non portassero armi, né montassero cavalli, né che suonassero le campane delle loro chiese. Le armi fu facile farle sparire nascondendole per ogni evenienza. Sul divieto di cavalcare, essi si dissero: «Né noi, né loro». Avvelenando gli abbeveratoi, in breve tempo fecero morire tutti i cavalli dell'isola. Gli arabi, che non mancavano di certo di cavalli, allestirono navi dal nordafrica cariche di nuove cavalcature. Si narra che il destino, con grandi tempeste, fece affondare tutte le navi, tranne una: piena di asini di Pantelleria. Facendo buon viso a cattivo gioco, gli arabi camminavano a dorso degli asini. La situazione era talmente ridicola che i siciliani, vedendo gli sceicchi cavalcare asini (dal latino asini) li chiamarono in dialetto da allora scecchi. Il re andò su Il re andò su tutte le furie per l'oltraggio che si consumava, ideò di far inchinare gli abitanti al passaggio degli asini, cavalcati o no che fossero. La principessa Nevara fece notare a Re Miramolino che l'ordinanza avrebbe portato su di se il ridicolo e non il rispetto della propria dignità. Re Miramolino seguì il consiglio della figli, anzi, andò oltre. Non solo non fece la nuova ardinanza, ma revocò anche quella precedente. I siciliani poterono così portare armi, montare cavalli, e suonare le campane delle loro chiese. La nuova convivenza aumentò il rispetto reciproco: vicino a chiese cristiane sorsero moschee, ognuno pregava il suo Dio, lavorava in pace e in pace producevano e commerciavano. Iniziò un periodo di pace e tutti vivevano contenti uno accanto all'altro.

La pace tra le due confessioni durava da tempo in Sicilia quando si manifestò all'improvviso un pericolo misterioso. Un drago alato (altri videro un leone alato o un'aquila gigantesca) penetrava nelle case divorandone gli abitanti, sia che fossero arabi che cristiani. Le apparizioni divennero così frequenti che in Sicilia non vi era un luogo che non fosse stato colpito da lutti. Soldati e sentinelle non potevano arginare il terribile flagello, rimanendone vittima anche loro. Nell'isola si era al terrore e allo sbando. Il re Miramolino, non avendo soluzioni fu costretto ad emettere un disperato bando: «Chi libererà la Sicilia da questo flagello, avrà in isposa la principessa Nevara».
Come capita di solito nelle leggende, molti furono i coraggiosi, ma tutti senza fortuna soccombettero. Finchè l'amato della principessa Nevara non si offrì. La posta in gioco era tale (con gli occhi dell'amore) che Raimondo, il nobile palermitano, tentò la sorte.
Appostatosi, di notte, sotto le mura di Palermo attese nel buio. Improvvisamente udì uno spaventoso rugito ed apparve in cielo in una sfera di fuoco un enorme leone alato. Raimondo, nonostante fosse atterrito riuscì a notare sopra un ala il segno della croce e una scritta: «Pace a te, o Marco, mio evangelista». Affidandosi l'anima alla Madonna, Raimondo, ficcata la spada in terra, si inginocchiò davanti al mostro. Disse saggiamente: "O animale alato, che rechi il segno di Nostro Signore, dacci pace e non guerra. Così come viviamo, ognuno adorando il proprio Dio. Abbi pietà e porta la pace nelle nostre vite". Sopra le mura di Palermo tutti, dal re Miramolino, alla principessa, gli arabi e i palermitani, udite le parole del conte Raimondo, con grande sorpresa e gioia videro il mostro alato scomparire nel buio. Da allora il prodigio non si ripetè più, lasciando i siciliani alla loro pace.
Come una favola la storia si conclude tra il tripudio generale 
con il matrimonio della principessa Nevara e il coraggioso conte siciliano Raimondo. E' il simbolo della ritrovata concordia tra siciliani e arabi.
L'anziano re Miramolino, sentendo che la vita lo stava abbandonando, ordinò che si irrigasse la Conca d'Oro, trasformandola in un meraviglioso giardino. In primavera col profumo delle novelle zagare, il re diede l'addio a questo mondo, lasciandolo pacificato e armonico.
 

LA PRINCESA SICILIA / PRINCIPESSA SICILIA

VERSIONE ESPANOLA


In periodo bizantino si diffuse una leggenda riguardante il nome della Sicilia e l'origine dei siciliani. Essa assomiglia molto al brano biblico di Adamo ed Eva.
Narra la leggenda di una bellissima ma sfortunata principessa del Libano, che si chiamava, appunto, Sicilia. Alla sua nascita le era stato predetto da un'oracolo che al compimento dei 15 anni d'età avrebbe dovuto lasciare il regno su una barchetta, altrimenti sarebbe stata pasto
 dell’ingordo «Greco-levante», che si sarebbe mostrato sotto le mostruose forme di un gatto mammone.
Quando fu tempo, il re e la regina, piangenti, la posero su una barca, e, da sola, le fecero prendere il largo come l'oracolo aveva voluto e predetto. Le onde fecero il resto. Dopo tre mesi la barchetta si arenò su una spiaggia deserta, ma bellissima, piena di fiori e di frutti. Nello sconforto più assoluto la sfortunata principessa pianse lacrime amare.
Come vogliono le leggende, vi fu un colpo di scena: ecco che dalla boscaglia apparse un bellissimo ragazzo. Il giovane la confortò e le offrì tutto il suo amore. In seguito le spiegò che l'isola era deserta perchè tutti i suoi abitanti erano morti a causa di una tremenda peste e che il loro destino sarebbe stato quello di ripopolarla. Da loro sarebbe nata una razza "forte e gentile" e che l'isola avrebbe preso il suo nome:Sicilia. Così avvenne. I siciliani, gente "forte e gentile", si sparsero per tutta l'isola, dalle spiagge ai monti dell'interno.

EL INMENSO TESORO DE LA ZISA LA ESPLENDOROSA

La fama di Guglielmo II di "grande costruttore" di mirabili opere, è dovuta, non solo per il Duomo di Monreale, ma anche per la Zisa, che egli ultimò, avendola iniziata suo padre Guglielmo I. Il palazzo della Zisa già nel nome è opera bellissima, infatti Zisa viene dall’arabo azizah, che vuol dire, appunto, splendido.
Naturalmente è legata alla Zisa una leggenda popolare.
Nella città di palermo esiste La Zisa, un palazzo che è un castello. Dall'ingresso, con oro e pitture, si giunge al centro, dove si trova una bellissima fontana di marmo con una cascata d’acqua fresca e incontaminata che rasserena l'animo. La Zisa è coperta da un incantesimo, che vuole che vi sia nascosto al suo interno un favoloso tesoro. A proteggerlo sono chiamati i diavoli dipinti nel bellissimo ingresso, che impediscono di trovarlo ai cristiani. Il giorno del 25 marzo, giorno dell’Annunciata, guardando attentamente la pittura, si possono vedere i diavoli muovere la coda e fare smorfie. Essi sono talmente tanti nel dipinto che non si possono contare, come non si può contare il tesoro che essi custodiscono. Quando un coraggioso troverà la soluzione per «sbancare» il tesoro misterioso, allora anche Palermo non sarà più povera.
Il Pitrè, a proposito del fatto che effettivamente i diavoli non si possono contare, addebita la cosa al modo come essi sono stati dipinti. Poichè alcune figure sono molto piccole, e alcune altre non intere, ne deriva che il conto è molto difficoltoso, tanto da non tornare mai.

La figura di Guglielmo II è ricordata, comunque, oltre che per la cattedrale di Monreale e la Zisa, anche per le buone leggi emanate (celebre quella che puniva l’adulterio) e la sua tolleranza, anche religiosa. Celebri le sue parole: «Ognuno preghi il Dio in cui crede», espressione modernissima e straordinaria per i tempi. Perfino Dante, nel ventesimo canto del Paradiso, lo definisce «il giusto rege», e innumerevoli sono le citazioni positive su di lui nella poesia dotta siciliana.
 
 
VERSIONE EN ESPANOL